a cura di Andrea Lerda

Durata
8 marzo - 20 aprile 2024

Altre mostre

Il 4 giugno 1966 venne inaugurata al Moderna Museet di Stoccolma la mostra She - A Cathedral, nata dalla collaborazione tra gli artisti Niki de Saint Phalle, Jean Tinguely, Per Olof Ultvedt e il direttore del museo Pontus Hultén. Una gigantesca figura femminile in avanzato stato di gravidanza – sdraiata a terra con le gambe divaricate, come a evocare la posizione del parto – si mostrava agli spettatori.
Una “cattedrale” lunga 23 metri e alta 6 invitava il pubblico a compiere un’esperienza di attraversamento, al limite del performativo, tra le simbologie del femminile e del materno.
Se per Niki de Saint Phalle l’opera rappresentava l’immagine di una donna liberata, di una madre indipendente, buona, generosa e felice, il percorso di emancipazione dall’autorità e dalle catene del patriarcato era un processo storico in lento divenire e tutt’ora aperto. Lo testimoniano i recenti accadimenti, lo racconta questa mostra, nata temporalmente circa un anno fa.

Anche oggi l’ingresso all’esposizione è costituito da un passaggio. Flaminia Veronesi sceglie infatti due grandi seni materni come portali di ingresso a un mondo futuribile. Varcare questa soglia è un’esperienza doppiamente simbolica: da un lato rappresenta il rito di iniziazione, necessario ad attivare la deflagrazione culturale che l’artista invoca; dall’altro ci consente di accedere fisicamente all’interno dell’universo metamorfico, onirico, surreale, ma necessario, di Flaminia Veronesi.
Questo primo attraversamento può in effetti essere inteso come un vero e proprio manifesto della visione teorico-creativa alla base di questo progetto espositivo. 

L’artista rilegge e aggiorna il pensiero di Maria Montessori – pedagogista, educatrice e tra le prime donne a laurearsi in medicina in Italia – che a inizio Novecento delineò una prospettiva innovativa nell’ambito delle riflessioni e delle rivendicazioni femministe.
Nello scritto del 1902 dal titolo “La via e l’orizzonte del femminismo”, descrive la donna come una “pioniera” alla quale è affidata la responsabilità di battersi per compiere un passaggio storico: quello dalla domina/mater antica alla “donna nuova” chiamata a portare nella società i valori femminili, sottolineando come il fine del femminismo potrà essere raggiunto solo con quella vittoria sociale materna che sposta definitivamente l’attenzione dalla maternità come procreazione alla maternità come sorgente dell’umanità.

Nella realtà rappresentata da Flaminia Veronesi, la presenza femminile non è dunque motivo per una semplice riflessione sulla donna (così come la sua non è una ricerca meramente femminista), bensì l’emblema di un sentimento di “maternità sociale” (come lo definì Maria Montessori) ormai deflagrato.
Le figure disegnate dall’artista sono creature mutanti che, pur conservando i tratti del genere femminile sotto l’aspetto sessuale, sono permeabili a una fluttuazione metamorfica che abbraccia una concezione espansa di essere umano. Così facendo, Flaminia Veronesi dichiara il suo intento di ripensare l’idea di “madre” e di andare oltre lo stereotipo che relega questa esperienza alla sola sfera femminile.

Nel mondo appena nato e nel quale siamo immersi – un luogo dove seni fumanti appaiono come catene montuose primordiali e dove una catarsi cosmica ha riconfigurato non solo i modelli culturali ma addirittura il DNA del reale – ognuno di noi è un essere materno che agisce secondo il principio del “dare” e in favore della vita.
Il nuovo immaginario simbolico del materno si è fatto pratica e sentimento universale. Le virtù del femminile come la cura, l’accoglienza e il legame con il naturale, sono ora libere di evadere dalla casa nella quale erano tenute prigioniere e di rendere finalmente più forte la specie umana.
Eva, la donna oggetto e procreatrice che per lungo tempo è stata vittima di una condizione di inferiorità e di sottomissione, ha lasciato il posto alla Madre, una “Maria sociale”¹ per la quale la maternità è intesa come premura verso l’altro e responsabilità verso la vita.
Ora che la maternità è slegata da una dimensione biologica, che “le differenze genitali tra gli esseri umani non [hanno] più alcuna importanza culturale”², ognuno può prendersi cura dei figli, dell’esistenza e della Madre Terra.
In un mondo nel quale, come suggerito dalla prospettiva xenofemminista, si assiste alla proliferazione dei generi, ecco che i seni si sono moltiplicati a dismisura, quasi a voler simboleggiare o legittimare un processo di ectogenesi che, va precisato, non intende di certo rinnegare o sostituire la reale dinamica biologica su cui si fonda l’origine della vita. 

Nella mostra Maternità sociale Grandemadremamma, Flaminia Veronesi mobilita l’immaginazione e ricorrere al potere del sogno non solo nell’accezione andersiana e negativa di prefigurare i futuri scenari della catastrofe culturale e globale, ma anche in quella positiva di ipotizzare e pensare scenari alternativi, così da poter guidare la nascita di un nuovo concetto di “maternità comunitaria” necessario per la “cura del Mondo”³.
Il suo universo di riferimenti visivi, teorici e concettuali fluttua tra il reale e il fantastico, tra passato, presente e futuro. L’artista fonde assieme teorie femministe, rimandi alla Storia dell’Arte e intuizioni personali che, grazie alla sensibilità di una moderna sciamana, la mettono nella condizione di essere una messaggera della Pacha Mama.
L’aspetto organico, molecolare e magmatico delle opere prodotte appositamente per questa mostra, rivela la potenza creativa dell’artista e l’intuito visionario che alimenta la sua ricerca polimorfa, nella quale si intravedono riferimenti ai lavori di altre artiste recenti e contemporanee, tra cui Louise Bourgeois, Sarah Lucas, Nathalie Djurberg, Carol Rama, Laure Prouvost e Judy Chicago.


Andrea Lerda

 

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¹ “…di questo ha bisogno la società, che geme nella cruda lotta e nelle bassezze morali, mentre rifulgono le vittorie esteriori della scienza e dell’industria: oramai questa grande famiglia sociale sente il bisogno della donna che la ingentilisca nel suo lavoro, della madre che la protegga.”
In: M. Montessori, Per la causa delle donne, Garzanti Editore, 2019, p. 41.

² L’attivista e femminista radicale Shulamith Firestone sostiene che “come l’obiettivo finale della rivoluzione socialista non era solo l’eliminazione del privilegio della classe economica, ma della distinzione di classe, così l’obiettivo finale della rivoluzione femminista deve essere […] non solo l’eliminazione del privilegio maschile, ma della stessa distinzione dei sessi”. Firestone passa da una concezione della corporeità riproduttiva (fermamente ancorata alla concezione di due classi sessuali distinte) come la fonte dell’oppressione e della distinzione del lavoro, a immaginare lo sradicamento di questa oppressione per mezzo della dissoluzione del genere stesso.
In: H. Hester, Xenofemminismo, Nero Edizioni, Roma 2018, p.32.

³ Come ha scritto la filosofa Elena Pulcini, “cura del mondo vuol dire allora, in prima istanza, conservazione del mondo, protezione dell’umanità dallo spettro dell’autodistruzione, difesa della vita”.
In: E. Pulcini, La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p. 266.

 

Comunicato Stampa